Fare visual storytelling significa sperimentare e giocare con il linguaggio fotografico, combinare tagli e inquadrature tipici di generi diversi. Senza mai perdere di vista l'obiettivo più importante: coinvolgere l'osservatore, appassionarlo alla storia e trasformarlo in un cliente. Nelle nostre storie facciamo ampio uso di dittici, ovvero di accostamenti di due immagini messe in relazione tra loro. A ritratti di impostazione classica, in cui il protagonista guarda in camera (e si rivolge perciò direttamente al pubblico), spesso affianchiamo particolari e foto di still-life: artista-opera, ideatore-prodotto, in un rimando tra forme, colori e significati. Nei racconti più recenti abbiamo utilizzato inquadrature cinematografiche: scene in cui il nostro punto di vista è quello di chi osserva senza interagire, spesso dietro una quinta, una barriera fisica, un filtro. Lo abbiamo fatto raccontando Luigi Barberis, Bar Manager, osservandolo attraverso i vetri del suo locale di Alessandria, come fossimo passanti incuriositi (qui la storia di Luigi Barberis da cui abbiamo tratto l'immagine di apertura del post). Lo abbiamo fatto con la giovane pasticcera Federica Russo, fotografata durante le fasi di preparazione dei suoi dolci, traguardando attraverso il vetro di recipienti e bottiglie (qui la storia di Federica Russo). Giocando con la messa a fuoco abbiamo trasformato i riflessi e gli oggetti posti su piani diversi in forme sfumate e non più riconoscibili, elementi astratti che arricchiscono la scena e danno profondità all'inquadratura. Spingere l'osservatore a "guardare attraverso" significa condurlo dentro il racconto, stimolare la sua curiosità e renderlo un osservatore attivo e interessato. Un importante passo per imprimere nel pubblico un messaggio commerciale potente e indelebile.
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